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LA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE: la voce dei suoi teologi

a cura di Renato Piccini

Introduzione

Dalla voce dei suoi teologi abbiamo le risposte del perché della Teologia della Liberazione e delle sue cause storiche, sociali, religiose, come pure della sua capacità di rispondere alle sfide di un mondo senza più confini, né culturali, né economici, né religiosi.
Nelle loro concrete e ampie analisi v’è la fede vissuta nell’ingiustizia sociale delle masse dei credenti, il dramma di un mondo diviso nettamente in due: ricchi e poveri, la povertà fatta strumento di dominio e di potere.
Sono riflessioni non condotte secondo la logica razionale delle teologie occidentali ma che, spaziando nel più vasto orizzonte culturale, toccano i temi vivi di ogni teologia; quei temi che, in fondo, danno la ragion d’essere ad una teologia che pur partendo da una riflessione di fede sui contenuti della Parola (Bibbia e Vangelo), vuole coinvolgere l’uomo e l’umanità intera nel suo difficile percorso storico.
Un coinvolgimento che interpella l’uomo, la sua ragione, la sua coscienza non solo nella libera risposta alla fede cristiana, ma anche agli impegni storici a cui questa fede chiama.
La responsabilità dei cristiani, e quindi di ogni Chiesa che a Cristo si rifà, per la storicizzazione dei valori evangelici -in primis libertà, verità, giustizia e centralità dell’uomo-, viene dalla Teologia della Liberazione messa a fuoco, fatta emergere con forza. L’uomo non è visto come semplice esecutore di un ipotetico e trascendente disegno di Dio, ma è artefice e protagonista storico di un Regno che, dal momento in cui uno crede nel Dio cristiano, va messo in atto nell’incarnazione del messaggio umano-divino di Cristo [1].
Nulla tolgono i teologi della liberazione all’aspetto trascendente della fede, alla sua spiritualità, anzi, tutto ciò viene vissuto come una significativa “forza storica” che crea quella metanoia a tutti i livelli perché ogni uomo ed ogni popolo scelga il duro percorso per la realizzazione di una terra nuova, segnata da valori che sono comuni ad ogni uomo e ne costruiscono la sua “dignità”.
La razionale logica necessaria alla scientificità di un pensiero, non manca nel bagaglio culturale dei teologi della liberazione, ma qui viene legata più all’esistenzialità ed alle sue problematiche che non alla purezza di una filosofia come potrebbe essere quella aristotelico-tomistica.
Pur non dimenticandola, ai teologi della liberazione preoccupa la logica del Dio della vita, della fede in esso e della costruzione di un Regno dove non solo si ha il diritto di nascere, ma il diritto di vivere… è: una teologia vissuta nella storia di un tempo, il nostro tempo.
La Teologia della Liberazione ha in sé, come ogni “corrente culturale” intesa come sistema di pensiero, una sua specifica “coscienza” che è il suo DNA che la qualifica, la inserisce nel grande mondo della cultura, le dà il diritto di dialogare in essa, le dà la sua specifica distinzione ed una causa concreta: la “causa storica dei poveri”. La Teologia della Liberazione è nata per rispondere ad un interrogativo che ha percorso la vita reale, sociale del popolo ebraico, che le moltitudini hanno posto a Gesù, che è stato l’interrogativo più urgente posto al cristianesimo nella sua lunga storia e che oggi le masse dei credenti pongono alla loro fede: che risposta dà la fede cristiana al grido di giustizia?
Che senso ha credere nel Dio della Bibbia, nel Gesù del Vangelo, nel messaggio cristiano da parte di masse di credenti che vivono nell’ingiustizia, privi di ogni dignità umana? Va sottolineato che, qui, il problema dei poveri a livello storico e globale, viene posto nell’ottica della fede cristiana, tra la moltitudine dei credenti poveri di una terra conquistata nel nome di una croce.
Altre moltitudini, in altre condizioni storico-sociali, in diverse ottiche culturali-ideologiche,
come il continente europeo dell’‘800 e nel ‘900 e le masse dei poveri del mondo orientale, dalla Russia alla Cina, hanno ricevuto risposte diverse sul piano culturale-politico, ma la fondamentale risposta di giustizia è identica: al grido d’ingiustizia dei poveri non si può rispondere che con una ricerca di giustizia.
Da qui sorgono i due problemi che sono alla base ed al centro della Teologia della Liberazione: uno di ordine storico-sociale, l’altro nell’ordine della fede cristiana, teologico.
Non conoscere il dramma del mondo dei poveri in America Latina, vuol dire precludersi la via ad ogni comprensione della Teologia della Liberazione. È evidente che dove si ripete questo “mondo povero” la Teologia della Liberazione è di casa, come Africa, Asia, ecc…, pur con connotazioni specifiche, tanto da definirsi teologia africana, asiatica, latinoamericana.
La domanda del Terzo Mondo è un grido di giustizia al Dio della vita.
La domanda che si pone la cultura occidentale, il mondo ricco, è: Dio esiste?… un interrogativo che si è fatto drammatico dopo Auschwitz.
Su ciò tutto si concentra/accentua: laicità-laicismo, assolutismo-relativismo, dubbio-certezze, fede-fondamentalismo, ecc…
La Teologia della Liberazione nella fede pone un altro interrogativo: Dov’è Dio? Come agisce?…
La risposta che ci viene dalla tradizione teologica è basata ancora, nonostante gli ammodernamenti filosofici, sulle grandi intuizioni razionali di Tommaso d’Aquino che pone Dio, nel suo mistero, al principio ed alla fine di ogni cosa, la Causa Prima ed il Fine Ultimo di ogni esistenza.
Tra questa causa ed il suo fine si svolge tutto ciò che è esistenza, essere e vivere, la storia dell’uomo e dell’universo.
In questo grande ambito nasce e vive la fede cristiana, come ogni fede monoteista, e la fedeltà ai destini segnati da Dio diventa ortodossia, fedeltà assoluta alla fede.
La risposta che dà la Teologia della Liberazione non viene dall’ortodossia –pur nulla negando– viene dall’ortoprassi. Franz Hinkelammert1 afferma che una teologia istituzionalizzata, che agisce in nome di un complesso dottrinale dogmatico con pretesa di verità eterna, non può concretizzarsi storicamente, da qui nasce il conflitto culturale tra le due teologie, occidentale e latinoamericana.
Di conseguenza, si nega che la Teologia della Liberazione sia una teologia autentica proprio da come questa teologia nasce e si concretizza, ma una volta che si accetta il principio della “concretizzazione” teologica, si deve accettare la formulazione dottrinale di una teologia concreta e storica, com’è appunto la Teologia della Liberazione. I teologi della liberazione molte volte ricorrono alla teoria ‘marxista’ come mediazione sociale per capire concretamente il “sistema d’ingiustizia che domina il mondo” e analizzare l’esperienza della fede vissuta in una società a-cristiana.
Da qui l’accusa alla Teologia della Liberazione di essere marxista. I teologi latinoamericani rispondono analizzando il principio delle “mediazioni”.
Per non assolutizzare in senso storico il cristianesimo ed il regno di Dio biblico, è necessario far ricorso alle “mediazioni fra il Regno e l’obbedienza del credente ai suoi valori e alla sua fede”.
«Ogni azione che si pretende obbediente, che si confessa risposta al Vangelo, deve a sua volta riconoscersi come azione mediata da criteri, analisi e decisioni umane. Pretendere un accesso non-mediato alla volontà di Dio è precisamente l’essenza del fanatismo. Tali mediazioni possono essere coscienti o incoscienti, esplicite o implicite; ma sono inevitabili. Il nostro vantaggio attuale sta nel possedere una serie di strumenti – psicologici, sociologici, teologico-critici – che ci permettono di prendere una coscienza più chiara di queste mediazioni e correggerle o in qualche modo neutralizzarle».

L’analisi economico-marxista del mondo capitalista e, soprattutto del colonialismo economico-politico nordamericano ed europeo, entra nel novero, per il teologo ed il credente, delle mediazioni, come strumento per capire ed agire nella storia; quindi un’azione critica del mondo, anche religioso, della sua storicizzazione delle culture e leggi.
Il padre della Teologia della Liberazione, Gustavo Gutiérrez, così afferma:

«Credo che tutti siamo coscienti dell’importanza dell’analisi scientifica della realtà. Perciò bisogna essere al corrente della situazione delle scienze sociali che ci permettono questa analisi. Io non uso direttamente il marxismo. Uso le scienze sociali, dove ricorrono anche alcune categorie marxiste. Non le ho messe io, io le ho trovate e non ne ho la responsabilità: certamente non c’è mezzo di analizzare una realtà sociale senza fare appello agli apporti del marxismo. È così che io intendo tale questione e non temo di dire che in effetti noi facciamo appello a categorie marxiste nella misura in cui le scienze sociali lo fanno per poter comprendere in profondità la realtà sociale. Ciò è necessario per poter riflettere sulla nostra situazione di cristiani, impegnati in un processo di liberazione».
«Il punto di partenza della Teologia della Liberazione è pertanto la domanda sul luogo concreto e storico nel quale Dio si rivela».

E su questo incrocio tra Dio e l’uomo, la sua storia, si sviluppa la riflessione della Teologia della Liberazione.
Una riflessione che ha per scopo il cogliere con sempre più chiarezza e forza ciò che, su questo intreccio, è il pensiero della Parola, i valori che l’Annuncio mette in risalto, valori che manifestano chiaramente il disegno storico-umano del Regno di Dio.
L’ortoprassi evangelica -che è la prassi in cui si inserisce l’annuncio, dove l’annuncio diventa storia- è la stessa prassi di ogni tempo, che diventa ortoprassi di ogni “discorso su Dio”… e, dunque, teologia.
L’opzione per i poveri è alla base della “teologia” di Dio nella Bibbia e di Gesù nel Vangelo, e diventa un punto fondamentale del suo annuncio.
Dall’opzione per i poveri, e su di essa, si esprimono i grandi valori di verità, giustizia, dignità della vita, non solo, ma su di essa si fonda la “soteriologia”, cioè il cammino di redenzione e di salvezza, basta ricordare le beatitudini e il giudizio finale. I poveri diventano allora “strumento” di salvezza nella misura in cui sono strumenti di giustizia, liberazione, verità, ecc….
La Teologia della Liberazione pone al centro di ogni riflessione il povero, non solo perché il povero ci riporta a Dio, ma perché, per assurdo, è la dimostrazione vivente di un Dio assente. Dove manca la giustizia manca Dio. Una società ingiusta, radicalmente ingiusta, su cui fonda il processo storico, è una società senza Dio.
Dio non può vivere dove si calpesta il diritto, la verità, la dignità dell’uomo. In tutta la Bibbia, le ire di Yahvé sono perché «il povero e la vedova non sono rispettati ed accolti», allora Yahvé non riconosce il suo popolo.

Non basta il sentimento fideistico interiore o la preghiera nel tempio per placare l’ira di Dio.
Ciò ancor più verrà accentuato nel Vangelo: «non chi dice Signore, Signore… ma chi fa la volontà del Padre»… un’adesione che si misura nell’amore al fratello, chicchessia e ovunque sia.
Nella Teologia della Liberazione, la presenza di Dio cessa di essere un’emozione interiore e si trasforma in prassi, con criteri di interpretazione nella realtà stessa. La presenza di Dio dipende dal fatto che non esistano ingiustizie, solo allora la sua presenza si realizza. Il contrario della povertà non è abbondanza di cose, ma pienezza di vita, che si costituisce partendo dal riconoscimento reciproco tra gli uomini. In questo senso, la Teologia della Liberazione è ortoprassi: Dio ci dice ciò che dobbiamo fare. La sua volontà è liberare il povero, però il cammino per la liberazione bisogna cercarlo, è compito dell’uomo.
Per questo la Teologia della Liberazione porta avanti un discorso di liberazione “integrale”.
È un processo di liberazione che coinvolge i tre aspetti fondamentali del credente: la sua coscienza, la sua appartenenza alla comunità ecclesiale e umana, la sua responsabilità socio-storica.
Liberare la propria coscienza da ciò che nell’ortodossia morale si chiama “peccato”. Il peccato personale di cecità, egoismo, incoerenza nella concezione e pratica della propria fede, è una necessità primaria per dare il proprio contributo all’esperienza cristiana, al di là del discorso della salvezza, salvezza che, secondo la parola del vangelo, si raggiunge nella comunione con gli “altri”.
È una liberazione che coinvolge l’aspetto morale-concreto dell’esperienza liberatrice della fede cristiana.
V’è poi una liberazione come processo di purificazione continua che coinvolge la Chiesa stessa.
È lo sforzo che la comunità dei credenti fa nei suoi aspetti dottrinali, morali, istituzionali e socio-politici per dare al suo volto ed alla sua presenza storica una visibilità sempre più coerente con la parola evangelica.
Questa purificazione e costante rinnovamento impedisce alla Chiesa i compromessi negativi della sua storia e le dona l’autenticità cristiana in ogni tempo.
È la capacità di tradurre in concreto quell’espressione di Cristo… “sono nel mondo senza essere del mondo”. È in fondo ciò che si definisce la forza profetica della Chiesa, quella forza che la porta alla denuncia concreta del peccato contro la giustizia e l’annuncio dell’uguaglianza e fraternità tra gli uomini.
Il terzo aspetto della liberazione riguarda l’uomo di fede come protagonista della storia umana. Egli è responsabile del sistema mondo. Un sistema creato sull’ingiustizia è antievangelico e il credente ne porta la responsabilità come ogni altra persona. Non è questione di adeguare il sistema-mondo agli schemi della fede -schema che non esiste-, ma di far sì che i valori essenziali della fede, dalla giustizia alla fratellanza, libertà e pace… siano vissuti come primari nel sistema che l’uomo va costruendo.
Questo comporta denuncia e lotta contro un sistema avverso e creazione d’una realtà nuova che sia più possibile vicina alla dignità di ogni uomo.
Da qui la speranza cristiana acquista un valore unico: una speranza che ha un punto di partenza, una radice che è concreta: la vita di Gesù ed il Vangelo.
Le parole di Cristo diventano fonti di speranza reale.
Parole che non sono condizionabili da nessuna cultura, né laica né religiosa, ma che si incontrano con le aspirazioni più profonde della coscienza umana, con i valori universali dell’uomo e, quindi, creano un ponte o un luogo di partecipazione al di là di ogni fede o cultura o storia personale e etnica.
La speranza cristiana si proietta su tre livelli: adesione alla Parola, dimensione storica o incarnativa, nel tempo, tutto il tempo dell’uomo (regno realizzato) e nei tempi (perché accetta la dimensione del Padre) di Dio.
La Teologia della Liberazione sottolinea che i primi due aspetti sono e dipendono dall’impegno del cristiano nel suo percorso storico, il terzo è nient’altro che il concetto fondamentale che di Dio ha la Teologia della Liberazione: “Dio della vita”.
Questa vita vissuta nella dignità che le è propria e nella concretizzazione dei valori universali, avrà il suo completamento nella fonte stessa della vita che è Dio.
Non c’è un prima ed un dopo nel Dio della vita, vi sono solo responsabilità e compiti diversi, ugualmente essenziali. Qui viene a proposito l’espressione di Agostino: «Chi ha fatto te senza di te, non salverà te senza di te!».
La Teologia della Liberazione attinge non solo dall’esperienza delle prime comunità cristiane, modello e immagine di come essere cristiani nel tempo di oggi, ma pure le riflessioni di quella che si può definire la teologia primordiale.
V’è non solo una continuità di esperienza, ma pure di ortodossa riflessione. Il linguaggio della Teologia della Liberazione non è nuovo, è il discorso stesso che fin dai primi momenti in cui il messaggio si fa storia, ebbero presente i primi evangelizzatori.
Questo linguaggio lo si trova in bocca ai profeti d’Israele, tanto che la loro voce e il cammino di liberazione del popolo ebraico, sono uno dei punti forza di riflessione. Il “senso profetico” è vivo nella Teologia della Liberazione sia come riflessione ricchezza della fede, sia come speranza ed utopia cristiana.
Certo che la voce dei profeti, compresa quella del profeta Gesù, è sempre difficile da cogliere e capire… il sigillo di quella parola è stato il martirio.
La Teologia della Liberazione non fa eccezione… ed i martiri non mancano.
R.P.