6/10/2024 21:48
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di Renato Piccini e Paola Ginesi
Quaderno n. 8 della Fondazione “Guido Piccini”
Fondazione “Guido Piccini per i diritti del’uomo”
pp. 126,
Collana QFP/8
Il volume è ordinabile presso la Fondazione Guido Piccini
Offerta libera
Presentazione
La cultura della paura nella filosofia e nel linguaggio neoliberale
Le parole sono il meglio e il peggio che abbiamo...
Per le meraviglie che si possono esprimere con la parola,
se usata con armonia e profondità;
possono però diventare violente se utilizzate male,
se si cambia il loro significato.
José Saramago
Il linguaggio
Il linguaggio è lo strumento che mette in comunicazione tra loro le varie anime dell’universo. La conoscenza dipende dal linguaggio, più il linguaggio è vasto e profondo più la conoscenza scopre l’esistente nella sua profondità ed essenza.
Solo il linguaggio fa dei singoli una comunità, un popolo e trasmette lungo la storia una cultura, una civiltà.
Il linguaggio non si manifesta allo stesso modo perché è strettamente legato alle specificità dell’essere che lo esprime e alle capacità di chi l’ha formulato.
Da qui abbiamo un linguaggio parlato, scritto, figurato e pure immaginario.
Il linguaggio, quindi, non è solo l’espressione di una differente conoscenza, ma è la fonte prima della creazione di una cultura, di un modo di pensare che forma una mentalità, nuovi modi di ragionare, comunicare, vivere, rapportarsi in tipi diversi di società in cui le parole diventano la maggiore forza espressiva.
In questo senso l’uomo crea un linguaggio frutto della sua cultura storica, di una determinata epoca, ma diventa a sua volta “schiavo” delle sue finalità.
Ogni sistema possiede una sua logica che si esprime attraverso il linguaggio. Così si parla di linguaggio civile, religioso, politico, filosofico, etico, storico… e si parla di un linguaggio antico, moderno, contemporaneo…
Oggi il nostro linguaggio è espressione – almeno sul versante economico-politico – della cultura neoliberale capitalista.
Smascherare e interpretare questo linguaggio attraverso una conoscenza reale e veritiera è indispensabile per capire come si muove e quali sono le finalità del sistema neoliberale nella sua disuguaglianza–ingiustizia.
Questo è il primo passo per evitare l’inganno di una parola menzognera, per recuperare, attraverso una critica aperta, “il meglio e il peggio” del linguaggio e riconquistare la forza delle idee che sono un patrimonio rivoluzionario insostituibile.
A proposito Saramago osserva[1]:
«La destra politica e la destra economica non hanno bisogno di idee. La destra può governare senza idee, non ne ha bisogno e, più ancora, per la destra le idee sono per confondere, quindi, niente idee. Invece, la sinistra non può vivere senza idee, la stessa ragion d’essere della sinistra è che qui c’è l'intenzione e la capacità di riflettere, anche se molte volte nell’affanno di arrivare al potere, i partiti politici di sinistra diventano carenti di ideali e sacrificano i loro principi».
E poi:
«L’uomo di oggi non lotta più per nulla, ha perso la capacità di protestare e ribellarsi. Crediamo che i sistemi democratici siano un punto di arrivo e proprio qui ha le sue radici l'errore. Siamo arrivati alla porta di uscita e dobbiamo continuare a lavorare, conquistando giorno per giorno un po’ di terreno. Viviamo in una schizofrenia totale e non riusciamo a capire cosa sta succedendo. Dobbiamo recuperare gli ideali, lottare per essi, indignarsi quando è necessario e non credere che viviamo nel migliore dei mondi possibili. Ci sono due cose assolutamente incompatibili: la globalizzazione economica e i diritti umani. Da come stanno andando le cose, questi ultimi sono destinati a scomparire».
Il linguaggio neoliberale
Le lontane radici del pensiero e del linguaggio
della cosiddetta “civiltà occidentale”
L’avvento della religione cristiana nel III secolo, che da messaggio liberatore dell’annuncio evangelico si fa religione di Stato, ricevendo la piena investitura da Costantino-Teodosio, formula quell’insieme culturale, politico, giuridico, religioso che pone le radici della cosiddetta “civiltà occidentale”, che verrà definita nella sua pienezza con l’umanesimo, il razionalismo, l’illuminismo.
L’espansione del cristianesimo, sia nella sua parte cattolica (Centro e Sud America) sia protestante (Nord America) porta la civiltà europea a dimensioni sempre più vaste.
La civiltà occidentale diventa così anche la civiltà del “Nuovo Mondo”.
Le grandi trasformazioni culturali, sociali-scientifiche, iniziate nel XV secolo e culminate nella rivoluzione francese, pur modificando profondamente alcuni importanti valori della civiltà europea, non fanno che estendere a livello universale la sua presenza.
Le grandi conquiste della scienza, la rivoluzione industriale-tecnologica, le diverse concezioni di libertà e uguaglianza, soprattutto individuali, porteranno all’affermazione di una “nuova civiltà”, la civiltà liberale.
Questo nuovo processo storico si regge sull’affermazione della piena autonomia dell’individuo e su una concezione filosofico-economica, come centro di un processo storico nuovo, mirato ad un dominio economico-politico dove il mercato diventa il motore e l’epicentro di una civiltà: la civiltà neoliberale.
La supremazia culturale-filosofica e di diritto, segnata dal pensiero greco e dal diritto romano, battezzata cristianamente da Costantino e Teodosio, con l’avvento del neoliberalismo diviene anche supremazia economica-sociale che va a conquistare civiltà, come quelle asiatiche, rimaste fuori dall’influenza del pensiero europeo ed estranee ai principi fondamentali del sistema economico-capitalista.
Oggi, la concezione neoliberale (vedi progresso scientifico-tecnologico, profitto, mercato…) ha conquistato il mondo intero.
Non v’è né islamismo, né confucianesimo o buddismo, nei loro aspetti religiosi, culturali, politici… che non si sia “piegato” alle leggi del progresso, del mercato e del profitto (PIL, Borse…) che sono i veri valori della concezione neoliberale. Siamo così arrivati alla globalizzazione del mercato con le sue leggi di disuguaglianza e di profitto assoluto, dentro un linguaggio dottrinale.
La cultura neoliberale europea, che fino ad ora aveva mantenuto un certo primato, proprio con la globalizzazione, da lei stessa voluta, ha perso la sua centralità. Un mondo nuovo vissuto per secoli ai margini del processo evolutivo sia culturale (scientifico, soprattutto) sia economico-politico e, in buona parte, sottomesso o per lo meno dipendente dall’evoluzione del mondo europeo, si è costruito fuori dai vecchi confini geografici-politici.
Nasce un mondo che, sul piano scientifico-economico, si è piegato ai principi fondamentali del pensiero neoliberale, dalla centralità del mercato, come produzione e consumo, alla logica del guadagno e del profitto sia mercantile che finanziario, i due cardini della concezione neoliberale.
Questo “nuovo mondo”, mantenendo alcune caratteristiche della sua storia, cultura, religione, costumi, tradizioni ha tolto all’Europa, o meglio alla “civiltà occidentale”, il suo primato.
L’eurocentrismo ha perso il suo potere centrale e deve ormai fare i conti con queste nuove realtà che, in breve tempo, hanno preso il dominio.
Tutto ciò ha generato un regresso e una perdita delle conquiste europee culturali, scientifiche, economiche, sociali scatenando una lotta tra poveri e il terrore di tornare ai tempi del “cappello in mano”, del dover dire “sì” a denti stretti.
Questo impoverimento sociale-politico, che trascina con sé tutti gli altri fattori o cardini della civiltà occidentale, da quelli civili a quelli etico-religiosi, ha prodotto non solo una nuova povertà, ma pure una paura crescente che porta a risposte sbagliate e pericolose sia nell’interno del sistema eurocentrico sia di fronte ad una nuova supremazia mondiale.
La soluzione, cercata in un nuovo cammino, parte dalla presa di coscienza che l’Europa (e la sua civiltà occidentale) non è più al centro del mondo, ma deve entrare in un dialogo universale e pluralista, nella diversità e parità, senza timori e nostalgie di supremazia di un passato ormai, se non morto, moribondo.
Una risposta generata dalla paura di perdere il primato centrale della tradizionale civiltà europea, porterebbe ad uno scontro globale.
Per questo è necessario abbandonare la paura del nuovo, quella paura che ha generato in passato, nello stesso processo evolutivo della civiltà occidentale, disuguaglianza profonda, ingiustizia e tempi oscuri e che ancor oggi è la tentazione per l’affermazione di un potere di dominio socio-economico-politico che non esiste più.
La paura, oltre ad essere un pericoloso strumento di potere, genera false risposte e rischiose contrapposizioni in un momento in cui solo un dialogo planetario può salvare l’umanità e il suo mondo.
Per questo è necessaria una conoscenza del rapporto tra paura e potere e, in particolare, del linguaggio neoliberale sulla paura per ricostruire, su parametri diversi, una nuova società dell’uguaglianza e del “benessere” nel vecchio continente e la capacità di presentarsi, con un dialogo rinnovato, ad un mondo universale che rifiuta supremazie ormai sepolte dal tempo.
Sulla “paura” e nel suo linguaggio si è fondata la grande disuguaglianza del potere neoliberale.
Il sistema economico come quello politico democratico si sostengono sulla paura della sopravvivenza, negando ogni possibile alternativa sia per la libertà politica sia per continuare la strada di quella crescita di ricchezza, anche se ciò comporta profonde e vaste ingiustizie.
Così per avere il consenso necessario alla radicalizzazione ed espansione del sistema, si è inventato un linguaggio che coniuga strettamente povertà e paura.
Su questo binomio si fonda l’illusione che solo il sistema neoliberale può assicurare all’umanità libertà e benessere.
Il timore di perdere le conquiste civili-sociali, anche su un contesto di profonde ingiustizie (il divario negli USA tra ricchi e poveri è eloquente[2]), oscura la necessità di cambiamento e paralizza la speranza di un mondo diverso.
Proprio perché la civiltà occidentale deve mettersi in discussione per aprirsi ad un confronto e ad un linguaggio universale, genera un terrore che diventa uno strumento di potere neoliberale, assurdo e suicida.
Ogni profondo cambiamento che si realizza oltre i confini del “nostro mondo”, come sta avvenendo in tanti paesi emergenti, viene demonizzato.
La paura diventa, ancor più del passato, lo strumento dello status quo.
Ma ciò non è e non sarà più possibile.
Se vogliamo non subire ma diventare attori di questo universale nuovo avvenire, fondato su giustizia, dialogo e comunanza di valori essenziali, è necessario uscire dalla gabbia del dilemma “paura – potere” e, con coraggio, prendere un nuovo cammino di speranza.
Per questo è indispensabile una veritiera conoscenza di quanto, nel passato e nel presente, può impedire una nuova presa di coscienza che risponda ad un profondo cambiamento che, piaccia o no, è già cominciato, non solo fuori ma dentro i confini della nostra “vecchia” civiltà.
Mettere in contrasto giustizia e libertà è una delle vecchie menzogne – come scopriremo riflettendo sul linguaggio neoliberale e capitalista –, perché non solo si crei un mondo di ricchezza per pochi, ma si tolga la speranza, valore essenziale per ogni lotta, al fine di costruire una minima ma doverosa società donde todos y todas quepan[3].
«Non fatevi rubare la speranza!»… è un’espressione che abbiamo sentito in questi tempi… ma dove poniamo le radici di questa speranza quando ci hanno rubato il pane, l’aria, l’acqua, la dignità del lavoro?
Per una vera rivoluzione è necessario conoscere a fondo i meccanismi, falsi e menzogneri, del sistema che sa “vendere” bene ogni suo prodotto, non solo economico, ma pure etico, culturale.
È il fine che si pongono queste poche pagine usando un linguaggio più semplice possibile.
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L’affermazione comune che viviamo in una “società complessa” è, a dir poco, un eufemismo.
L’idea di società complessa, come afferma Carlo Mongardini, si riferisce ad una realtà «nella quale le relazioni sociali hanno raggiunto una tale intensità da sfuggire ad ogni controllo e ad ogni rappresentazione sistemica»[4].
Se poi questa analisi, paurosamente vera, si estende a livello globale, si fa impossibile ogni analisi che voglia fare chiarezza non solo sul momento storico che viviamo ma su ciò che sarà il futuro, non di un paese, di un popolo, ma dell’intera umanità. E non v’è analisi, pur definita scientifica, che possa far luce. Lo confermano gli incredibili errori compiuti dai “grandi” economisti, sia sulla situazione attuale e ancor più quando parlano del “futuro”.
Oggi è difficile, direi impossibile, avere una rappresentazione coerente e comprensibile, c’è qualcosa che sfugge alla nostra comprensione razionale.
Questa oscurità presente, inspiegabile razionalmente, non solo rende difficile progettare, anche solo per grandi linee, la società del futuro, ma pure la società dell’oggi.
È una società non solo confusa, ma “sbriciolata”, dove è arduo, complicato trovare alcuni punti fermi, essenziali seppur negativi, a cui riferirsi.
I mass-media non aiutano certo a trovare spiegazioni plausibili, se non quelle solite del sistema, tipo “si è vissuto oltre le proprie possibilità”, come se la dignità del lavoro, il diritto alla salute, a una retribuzione che assicura un futuro ai propri figli, ecc… fossero cose accessorie e riservate ad una particolare élite.
In questa assurda e contraddittoria situazione nascono i perché… che riassumiamo in un unico perché: come è potuto succedere tutto ciò? Com’è stato possibile?… un interrogativo che molti, soprattutto lavoratrici e lavoratori, si pongono davanti a uno scenario sociale sempre più oscuro, devastante, tragico e illogico.
Solo “ieri” si celebravano alcune conquiste frutto di lunghe lotte per la libertà, la democrazia e, soprattutto, la giustizia.
Si pensava che certe conquiste fossero, se non già patrimonio di tutti, una concezione di vita universale, uguale per ricchi e poveri, per chi governa e chi è governato e, pur lentamente, valore di ogni cultura e civiltà.
Il cammino per arrivare ad una società più giusta e libera, dove il bene comune fosse una finalità condivisa a livello globale, era ancora lungo, soprattutto in una dimensione universale. Ma ora, quasi improvvisamente, ci troviamo a dover lottare non tanto ormai per una società del “benessere” ma per una società della sopravvivenza.
C’era, c’è sempre stato un mondo diviso secondo i parametri della ricchezza, e non certo quelli della cultura, tanto da definirlo Primo, Terzo e Quarto Mondo… ora la divisione è scomparsa in una “uguaglianza” al ribasso e si lotta per salvare qualcosa che sembrava patrimonio di tutti, per conquistare diritti singoli e comuni creando una società con al centro la dignità della persona umana.
È un risveglio amaro, difficile da credere e ancor più da accettare.
Per tanto tempo si sono sentite parole come “progresso”, sviluppo, benessere per tutti…
Nella realtà di oggi il sistema capitalista neoliberale dimostra il suo vero volto.
Il potere neoliberale non solo non ha retrocesso di un passo. Anzi quando si è accorto che rischiava di perdere un po’ del suo potere, che una giustizia distributiva intaccava i suoi forzieri, ha reagito con forza e senza scrupoli, incurante di nuove sofferenze e incontrollabili ingiustizie.
E il primo strumento è stato il linguaggio. Quel linguaggio che è la prima e necessaria arma del capitalismo neoliberale per costruire e mantenere un “senso comune”, come diceva Gramsci, o per fabbricare consenso.
E a questo linguaggio hanno prestato fede popoli interi e pure oggi, nonostante le delusioni, si continua a credere: «Con la nostra fede continuiamo a sostenere un sistema intensivamente ingiusto. Non è necessario – anzi non si deve – credere, è necessario non credere»[5].
Una “fede” ottenuta e sostenuta da un linguaggio intriso di un’ipocrisia capace di confondere la ragione e la coscienza, che ha per fine solo l’accumulo del potere e del denaro per pochi prescelti.
Se si vuole condurre una vera lotta per la giustizia, per “un futuro”, è necessario conoscere il “meccanismo” di un linguaggio che dalle innovazioni della comunicazione, ha sulle coscienze una forza di “convinzione” dogmatica e fideistica.
Per questo è necessario conoscere criticamente il linguaggio del potere che diventa ed è “arma d’inganno di massa” per capire non solo i meccanismi perversi e bugiardi di questo linguaggio, ma pure le conseguenze che genera nella coscienza popolare.
[1] José Saramago, Il Quaderno, BOLLATI BORINGHIERI 2009
[2] Heraldo Muñoz, ¿Qué puede aprender Estadis Unidos de la disminución de la desigualdad en America Latina? http://www.revistahumanum.org
[3] “Un mondo dove ci sia posto per tutte e per tutti”, un’espressione tipica del movimento zapatista.
[4] Carlo Mongardini, Le dimensioni sociali della paura, FRANCO ANGELI 2010
[5] Clara Valverde, No nos lo creemos. Una lectura crítica del lenguaje neoliberal, ICARA – ASACO 2013