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La vita di Guido Piccini

Guido Piccini nasce il 10 febbraio 1892 in un piccolo borgo toscano, Corezzo, alle pendici della Verna, il monte sacro di Francesco d’Assisi, nella provincia di Arezzo.

Quinto di dodici fratelli, ancora piccolo impara la dura vita del montanaro. Frequenta la scuola fino alla IIIª elementare, l’unica allora possibile.

Famiglia di tradizione religiosa, ma soprattutto legata al fascino di Francesco d’Assisi che emana dalla grotta delle stimmate sul monte della Verna, frequenta con assiduità il convento. Impara alcune nozioni di cultura generale e coglie i valori del cristianesimo attraverso la lezione della semplicità francescana. Il lavoro di boscaiolo e di mandriano non gli concedono molto tempo, ma nelle lunghe serate d’inverno, accucciato intorno al fuoco, ascolta attento con i fratelli il padre che narra le novelle toscane, le lotte dei comuni per la libertà, le avventure dei conti Guidi di Poppi, dei signori di Bibbiena, di Giotto e di Dante, citando a memoria brani della Divina Commedia e canta lunghe stornellate; stornelli che faranno poi parte del suo patrimonio e che canterà nelle osterie in lunghi ed appassionati duelli.

Appena compiuti i 14 anni, ai primi di ottobre, quando inizia il duro inverno lassù sui monti e la neve impedisce ogni attività produttiva, con il padre, rude ed intelligente montanaro, scende in Maremma - la Maremma amara di allora - per vivere e guadagnarsi un gruzzolo da portare in primavera alla numerosa famiglia.

Il padre è a capo di squadre di boscaioli che lasciano i loro borghi e scendono giù tra le balze e gli infetti acquitrini maremmani per dicioccare la macchia e farne dei poderi nelle immense tenute dei Colonna, Torlonia, Orsini… Nel 1911 viene chiamato alle armi. Vi rimarrà, tra la campagna di Libia e la prima guerra mondiale, circa otto anni. Nel 1919 è congedato.

Appena a casa, si interessa di politica e legge bollettini ed opuscoli. Fonda in Bibbiena, con altri amici, una sezione del Partito Popolare di don Sturzo.

Poco dopo si trasferisce a Montiano, piccolo paese del grossetano e inizia a lavorare con il fratello maggiore, divenuto nel frattempo ricco commerciante. In quattro anni racimola una discreta fortuna. Nonostante il lavoro, non abbandona la lotta politica. Lo scontro con il fascismo diviene inevitabile. Subisce intimidazioni e rappresaglie di ogni sorta. Un giorno, il 22 dicembre del 1924, mentre con alcuni operai, su carri carichi di merce, percorreva la polverosa strada che dalla stazione di Talamone, nel grossetano, portava a Montiano, paese di residenza, s’imbatte nell’ennesimo squadrone fascista. Per essersi energicamente rifiutato di fare il saluto romano, viene picchiato a sangue.

È posto allora di fronte ad una scelta: il lavoro, il benessere, la famiglia o la lotta politica. Sceglie quest’ultima. Ai primi del 1925 lascia la moglie e la figlia e prende la via dell’esilio, in Francia. Anche al di là dei confini continuerà la sua battaglia con numerosi compagni esuli come lui.

Perseguitato dai consolati fascisti, dovrà spostarsi continuamente, in cerca sempre di nuovo lavoro, dovendo spesso abbandonare la famiglia che l’aveva seguito nel 1926. Rientrerà in Italia nel 1940 dopo essere stato inviato in Etiopia come “lavoratore volontario”: senza questa etichetta non avrebbe mai potuto ritornare e ricongiungersi con i suoi cari. È assegnato alla fabbrica d’armi nazionale, l’Arsenale, di Gardone Valtrompia, nel bresciano, per poterlo così sottoporre ad un continuo controllo.

Dal 1943-45 partecipa, con i figli, alla lotta di liberazione, in particolare all’interno della fabbrica, facendo da tramite tra le forze esposte in prima linea sui monti dell’Alta Valtrompia e le retrovie.

Logorato nel fisico, dopo aver lasciato una testimonianza di incredibile coerenza e onestà, muore a 61 anni, nel 1953. In lui abbiamo pensato di ricordare le migliaia di persone semplici che hanno lottato - e lottano -, hanno versato - e versano -, in ogni paese e situazione storica, il loro sangue per ridare all’uomo, di ogni colore e fede, la dignità e, soprattutto, la massima dignità ed il più grande diritto: vivere da uomini liberi.